L’AMORE VINCE LA MORTE

 

 


PRIMA PARTE

1.

Quando si trovò sopraelevato circa tre metri da terra e vide dall’alto, come in una inquadratura cinematografica, il suo corpo morto circondato da amici e parenti che lo contemplavano con aria triste, si chiese per prima cosa che cavolo stessero a fare tutti quei signori intorno a quella carcassa.
Fu il primo assoluto pensiero che fece: un pensiero comico, ironico, quasi maldestro… Si cominciava bene, si! Era quella dunque l’atmosfera della famosa e tanto temuta morte?
Anche se non capiva bene il senso della situazione però, continuava a restare in quella stanza, non riusciva ad andarsene. E poi: dove andarsene? Era un neofita e non sapeva proprio cosa fare. Si fermò lì allora, ad ascoltare con un distacco che gli sembrava davvero eccessivo cosa stessero dicendo o pensando di lui quelle persone.
Sentiva un bisbiglìo continuo, un flusso di pensieri e parole che si accavallavano e di cui riusciva a distinguere solo qualche sprazzo:
« …si, era un brav’uomo, davvero…un po’ snob e distaccato, ma un brav’uomo…» (Barbara, l’amica intima di sua moglie);
« …certo, dopo un anno di continue sofferenze…forse è meglio che sia finita, lui stesso in fondo lo diceva…» (Paolo, suo fratello minore);
« …ora con chi potrò sfogarmi un po’…con chi andrò allo stadio per la Champions? » (questo però era solo un pensiero; di Giuliano, uno dei suoi grandi amici storici).
Insomma, tutte riflessioni banali, ovvie, convenzionali…
« Non hanno capito niente, non hanno mai riflettuto sulla morte, sull’aldilà… Laici del cazzo, rimuovono questo pensiero! E’ il loro terrore… »
Pensò a Swedenborg, l’ultimo autore che aveva letto. Uno dei pochi che aveva parlato in modo razionale della morte e dell’aldilà, apertamente, con coraggio; anche se…vero…in fondo le sue ipotesi erano tutte abbastanza forzate e artificiali…

All’improvviso sentì come un’attrazione, un risucchio, qualcosa che lo spingeva fuori: “…andiamo dai, lascia fare, non lo vedi? Questi pensieri non valgono niente, sono dei bambini, tutti, vieni via! Ora è ora! ”
Non riusciva a capire se sentiva realmente quelle parole o se le pensava; se era qualcuno di diverso da lui che le diceva o se era tutto un gioco di specchi all’interno di sé stesso. Ma questo non importava, quello che sentiva ora era la verità. Non c’era più ragionamento, non c’era più calcolo, non c’erano più dubbi o incertezze. Quello che sentiva era la verità, e basta.
Per cui mollò tutti i suoi cari con noncuranza, uscì da quella casa e si trovò fuori.
Vedeva solo un piano di luce ora, e il mondo, la natura, che a poco a poco si sfuocava davanti ai suoi occhi.
Dov’era? Dove andava? Non lo sapeva. Ora era tutto buio e lui voleva solo dormire.

Quando tornò a pensare (o come dicono i vivi: “ad essere cosciente”), si accorse che non sapeva più chi era, che si ricordava appena di aver vissuto una vita e che la sua mente era asettica e pulita come una stanza vuota e appena imbiancata.
Si sentiva nuovo e apertissimo dunque, come depurato da tutto quell’intruglìo di riferimenti, ricordi, immaginazioni, rimozioni ed elucubrazioni che caratterizzano la mente di un “io”.
Insomma, lui esisteva, sentiva di pensare, ma il suo “io” non esisteva più: cancellato, soppresso, azzerato. Bene, si disse (o pensò…o fu fatto pensare…), vediamo ora cosa arriva al suo posto e si mise ad aspettare…

Non aveva fretta, di niente. Di quello era sicuro, poteva aspettare anche per sempre, senza alcun problema. E infatti si disse che avrebbe aspettato, tranquillamente, non sapendo per quanto e non sapendo neanche cosa.
Ma quando si fu detto questo, arrivò subito una specie di avvenimento. Si trovò scaraventato all’interno del mondo degli “aspettanti”. Sentì altre anime intorno a lui che aspettavano; tutte con calma, tutte con tranquillità… Sentiva la loro comunicazione che era puramente energetica: flussi di energia che si incrociavano tra loro in continuazione, senza un ordine preciso, come un canto di uccelli indefinito e confuso.
Gli sembrò una cosa bella, divertente, per cui subì una spinta intrattenibile ad entrare in quel flusso di energia. E in quel flusso si perse, dimenticandosi anche del fatto che stava aspettando.
« Ma il legame con la “vita”? – sentiva dirsi – Quello non ti interessa? »
« La vita? – rispondeva lui – Cosa vuol dire la vita? »
« Si! La vita, quello che sei stato prima…»
« Quello che sono stato prima?… E cosa conta?… Che legame ho con
quello? »
« Potresti intervenire sulle persone nelle cui menti hai lasciato qualcosa di te! »
« Intervenire?… E perché? »
« Per sostenerle, per aiutarle… O per alleggerirle… Cancellare, aspirandola, la parte di te che hai lasciato in loro… E’ una forma di pulizia…»
« Ah, questo si che mi interessa: svuotare, fare pulizia, alleggerire… Sento che è una cosa buona…»

Cominciò a farlo allora e prima di tutto andò a visitare la mente di sua moglie.
La trovò così ingombra di pensieri confusi, che si deliziò tantissimo a togliere tutto ciò che riguardava lui…In un attimo lo cancellò: “delete” ?… Si, “delete” !
E senti che la mente di lei respirava, aveva guadagnato un sacco di spazio libero; era di nuovo aperta, pronta ad accogliere, con ordine, altri pensieri. Povera cara, si, goditela ora!
E infatti sua moglie, una donna di 52 anni, non una ragazzina, si sentì graziata e tutto ricominciò a scorrere nella sua vita. Non capiva certo il perché di quel nuovo stato mentale, attribuiva tutto ad una specie di mistero, ma tornava ad essere ottimista, costruttiva, fiduciosa.
« Bene… – pensò (o fu fatto pensare) lui – Bene! Questo mi piace: togliere il peso della mia presenza, alleggerire…»
Cominciò a farlo con tutte le persone importanti della sua vita. Le graziò, tutte. Ripulì la loro mente come uno spazzino e non si ricordò più neanche che lui stava aspettando ed era dentro al mondo degli “aspettanti”.
Quanto era passato? Un anno? Un giorno? Boh, questo non contava più, la calma avvolgeva la sua anima e la fretta era sparita del tutto. Che senso aveva chiedersi quanto tempo era passato?

2.

In vita intanto nessuno si ricordava più di lui. Era sparito dai ricordi di tutti ed era fiero di quella fuga.
Solo ogni tanto sentiva, di sfuggita, arrivargli un’onda di pensiero. Come una piccola scossa, che disturbava appena la sua placidità. Buttò questa sua impressione nel flusso in cui si incrociavano le energie degli “aspettanti” e gli arrivò una risposta: « Qualcuno nella vita ti pensa ancora. »
Non sapeva da dove era arrivata quella risposta. Poteva essere il pensiero di un altro “aspettante” o poteva essere solo una sua intuizione. Comunque, quella ora era la verità e lui cercò di capire quale persona avesse dimenticato quando aveva fatto pulizia nelle menti di coloro che lo pensavano. E alla fine gli arrivò l’immagine di Francesca, l’infermiera dolce e carina che lo aveva assistito negli ultimi mesi della malattia.
Certo! Era lei che ancora ogni tanto lo pensava! Lo faceva con un pensiero lieve e soffuso, ma continuava a pensarlo…
Si ricordò allora di quell’ultimissimo incontro della sua vita. Del filo sottile di complicità che aveva trovato con quella giovane donna. Che lo assisteva con cura, e che – gli sembrava – lo faceva anche volentieri, con una premura moltiplicata rispetto a quella che riservava agli altri pazienti.
La vedeva arrivare spesso da lui, anche quando non suonava il campanello. E a volte, soprattutto la sera, nel silenzio ovattato dell’ospedale semiaddormentato, la vedeva sedersi sul bordo del letto e cominciare a chiacchierare del più e del meno… Raccontargli qualcosa della propria vita; chiedere a lui qualcosa della sua…
Poi, quando nelle ultime settimane gli avevano prescritto la morfina, subito dopo l’iniezione che Francesca quotidianamente gli faceva, sentiva scattare tra loro quell’atmosfera di vera euforia: con lui che, reso tranquillo dall’effetto del farmaco, la intratteneva in modo brillante e raffinato; e lei che rideva, che si divertiva, e che quando la chiamavano ritornava serissima e professionale, ma lasciava intravedere quanto le dispiaceva andare via.
E gli tirava su le coperte, con amore, accarezzandogli appena il braccio nudo…

A questi pensieri si sentì sciogliere e si ricordò dell’amore. Si, dell’amore. Quella dimensione della vita che, soprattutto da giovane, era stata tanto importante per lui.
« Già, l’amore! – si disse (o si sentì dire) – Non ci avevo proprio più pensato da quando sono qui… Anche quello non è niente quindi?… E’ solo una fissazione maniacale degli uomini vivi?… Uno dei tanti “nomi” che l’uomo ha inventato? »
Questa volta la risposta non arrivò da sé. E quando lui ripensò quella domanda, arrivò lieve nella sua mente una possibilità. Non una risposta quindi, solo una possibilità: « Può essere… Ma questo devi scoprirlo da te… Devi scoprire se quello che hai provato in vita con l’amore è importante o fa solo parte delle tante sovrastrutture dell’io…»
« Ah… “sovrastrutture dell’io”! – gli disse un pensiero – Bella questa, davvero…» E si mise a ridere… Scoppiò in una risata cosmica, che sentì rimbombare dentro di sé o forse, chissà, fuori di sé, in quello strano mondo degli “aspettanti”.
Si sentì bene allora, si sentì forte, e decise di pensare alla sua infermiera, l’unica che in vita ancora lo pensava.
Decise di concentrarsi su di lei, per capire come lo ricordava e per sapere se poteva in qualche modo influire sulla sua mente e sulla sua esistenza.

Appena lo fece, sentì arrivare un flusso chiaro di pensieri.
Non era come il flusso indistinto e indeterminato che sentiva circolare nel mondo dei morti “aspettanti”. Questo era un flusso chiaro, definito, comprensibilissimo.
Evidentemente i vivi, con questa gabbia dell’ “io”, tengono separati e distinti i propri pensieri da quelli di tutti gli altri; e dall’al di là si potevano distinguere con chiarezza.
Si accorse però che dei pensieri della giovane donna poteva sentire solo quelli che lo riguardavano. Ogni tanto gli arrivava un input, un feedback, e poi più niente. Ma notò anche che man mano che lui si concentrava nell’ascolto di quel flusso, aumentavano i pensieri di lei che gli arrivavano.
Si perse in questo gioco allora, e si divertì. Per la prima volta da quando era nell’al di là, si divertì e si sentì in paradiso: « Ecco cosa è il paradiso… – si disse – Divertirsi senza stress! »

3.

“ Chissà cosa direbbe di questo il signor Carli ”…
“ Ah, ecco, questo lo diceva sempre il signor Carli ”…
“ Ma che caro che era quando si lasciava andare! ”…
“ E pensare che quando è morto ero in ferie! L’ultima volta era stato tutto così carino tra noi ”…
I pensieri di lei che gli arrivavano erano positivi. Di una nostalgia dolce e serena. Addirittura di amore, forse.
Quando lui era vivo probabilmente lei si era frenata, perché era assurdo lasciarsi andare ad un sentimento, anche solo di tenerezza affettuosa, verso un malato terminale. Ma forse era stata sedotta, incantata dal suo modo di fare signorile e raffinato. Ed ora in qualche modo lo sentiva dentro di sé.
Pensò a quanto gli piaceva quella giovane donna, a quanto si rasserenava quando la vedeva arrivare a salutarlo vestita “in borghese”, prima di cambiarsi; o a quanto se l’era gustata d’estate, quando la vedeva rientrare abbronzatissima dal week end e sentiva risvegliato in lui il senso ormai sopito dell’estetica.
Si, dell’estetica più che del sesso, perché il senso del sesso ormai era sparito in lui, da quando aveva saputo la verità sulla malattia. Il pensiero della morte lo aveva schiacciato, il senso del sesso, lo aveva fatto diventare un’inezia, una cosa ridicola quasi. Ma il senso dell’estetica femminile ogni tanto risorgeva. E quell’ultimo incontro con una bella donna gli aveva fatto rivivere come ricordo dolce tutti gli incantamenti e gli innamoramenti che aveva subito nel corso della vita.
E forse anche per questo l’infermiera era stata affascinata da lui, per questa sua assenza dalla dimensione sessuale dell’esistenza, per questa sua “irraggiungibilità erotica” ormai, al di là di ogni anche intimo, residuo desiderio.
Insomma si ricordò con forza emotiva di quell’ultimo incontro della sua vita ed ebbe voglia di aiutare quella giovane donna.
O meglio: ebbe voglia di “sentirla”, di entrare in contatto con lei. Ora che si era distaccato da tutti gli altri suoi rapporti, voleva continuare in qualche modo quello con lei, che si era bruscamente interrotto quando la sua condizione era precipitata.
Si ricordò dell’ultima chiacchierata che avevano fatto su quel letto d’ospedale, quando tra loro era scattata un’atmosfera veramente intrigante, che li aveva emozionati, e anche turbati… Si ricordò del fatto che il giorno dopo quell’incontro lei era andata in ferie e che proprio in quei giorni il suo stato psicofisico aveva subito il crollo definitivo, per cui non avevano avuto neanche il tempo ed il modo per un ultimo, tenero saluto.
Si chiese se era possibile che tra un “morto” ed un “vivo” potesse esserci un contatto reale. Di pensiero, ovviamente, ma reale. E gli fu risposto immediatamente: « Certo, uno dei nostri passatempi è proprio questo: “giocare” con i vivi, contribuire ad educarli con il premio della nostra presenza o con la punizione della nostra assenza… »
Sentendo queste frasi, cogliendo questi strani concetti, il signor Carli si sentì molto, molto emozionato. Si rese conto all’improvviso di quale visione asettica dell’aldilà abbiamo finché siamo in vita; e del fatto che il premio e la punizione esistono – proprio come nella metafora cristiana – ma hanno tutto un altro taglio, tutta un’altra forma di realizzazione. Il “gioco” continua ad essere con i vivi, insomma, anche quando si muore, e la dimensione essenziale dell’ “essere” rimane la vita. Solo che dopo la morte si assumono altri ruoli, con più poteri; quasi come se i morti fossero degli dei e i vivi rimanessero, appunto, mortali. E’ la presenza o l’assenza della paura della morte che crea la differenza: chi è già morto ha ovviamente superato quella paura, mentre chi è vivo la sente costantemente in sottofondo. E allora il morto può giocare con lui, premiarlo o punirlo, come fa un adulto con un bambino sprovveduto.
« Ammazza – si disse il signor Carli – e questo chi se lo aspettava?!? »
« Ma non è un gioco stronzo di potere? » si chiese poi impaurito da quella possibilità…
« Ma quale potere – gli fu ancora risposto – è il senso esatto dell’ “essere”, di cui la morte non è altro che un confine… Al di qua dello specchio c’è la vita fisica, al di là c’è quella spirituale. Ma nella dimensione del “pensiero puro” i due mondi possono incontrarsi. I vivi che intuiscono questa verità sono gli eletti, quelli che hanno capito, e possono entrare in contatto con noi… »

Non capì bene cosa significasse quell’ultima risposta. Era ancora così frastornato dai continui cambi di prospettiva che subiva da quando era nell’aldilà, che si sentiva incerto e confuso su tutto. E allora lasciò perdere.
Aveva saputo comunque che poteva entrare in contatto con quell’ultima persona che ancora lo pensava, e che aveva il potere di influire sui suoi stati d’animo. Questo gli bastava; per cui, d’ispirazione, decise di “premiarla”.
Lei l’aveva aiutato a morire, ad evitare la sofferenza; gli aveva anche regalato l’ultimo soffio di vera vita prima della morte, e lui voleva ringraziarla.
Chiese se poteva farlo subito, cominciare subito ad entrare in contatto con lei; ma stavolta nessuno gli rispose. Per la prima volta allora si senti libero, anche nel mondo dei morti; dopo quell’immersione nel “tutto indistinto” che erano stati i suoi primi momenti (o giorni, o anni) nell’al di là, sentì risorgere in lui una briciola di libero arbitrio.
E allora si mosse. La sua energia tornò nella realtà terrestre e si diresse veloce verso uno degli spogliatoi dell’ospedale Niguarda di Milano, dove Francesca, la dolce infermiera, si stava cambiando a fine turno.

SECONDA PARTE

1.

Quando l’energia del signor Carli arrivò vicino a lei, Francesca sentì come se qualcuno, o qualcosa, le toccasse l’anima. Sollevò la testa di colpo e si guardò intorno sorpresissima. Poi, essendo quell’energia entrata nella sua mente, pensò subito a lui, ovviamente, e con aria imbambolata pronunciò: « Matteo!… »
Era sola nello spogliatoio, un silenzio profondo avvolgeva la stanza e dopo la meraviglia e l’emozione provò la paura. Allora ritornò in sé, si vestì in fretta ed uscì quasi di corsa. Ma una volta in strada continuò a pensare con grande apprensione soltanto a quel momento in cui le era sembrato che qualcuno, o qualcosa, le toccasse l’anima.

Il signor Carli a quel punto, sentendo lo stato mentale di paura che aveva suscitato in lei, ed essendo un puro novellino in questo tipo di contatti, smise immediatamente di pensarla. Tornò del tutto nel mondo degli “aspettanti”, si mischiò di nuovo a quel flusso benefico di energie e non sentì più né i pensieri di lei su di lui, ne quelli suoi su di lei. Intuì anzi, proprio in quel momento, che forse quella sua sosta nel mondo degli “aspettanti” non sarebbe durata in eterno. Che poteva esserci un altro passaggio, in qualche altro mondo di energia, o di non energia, chissà… Qualcosa di nuovo insomma, e di superiore…
Quello forse era il Limbo?… E dopo doveva arrivare quello che nella metafora cristiana si chiama Paradiso?

Non lo sapeva. Sentì però quegli interrogativi non come ansie, non come dubbi angoscianti, ma come la tensione di un gioco affascinante. Un gioco senza rischi, qualcosa di inconcepibile per i vivi dunque, ma che lì, dov’era lui, non solo era possibile, ma era addirittura normale, scontato…
« Che bello però vivere tutto senza ansie! » si disse, ed ebbe la prova indubitabile di quello che aveva già sentito dire in una delle risposte che gli erano arrivate: l’ansia continua che si prova in vita non è dovuta a nient’altro che alla paura della morte; una volta morti, quella paura naturalmente scompare, e con essa scompaiono tutte le ansie. Restano le emozioni, il divertimento, le passioni, ma non sono più “condite” di apprensione, come succede quasi sempre in vita.
« Oh guarda! – si disse ancora – Anche questo chi se lo aspettava? Una così totale ed eterna smielatura! »
Annullò del tutto i suoi pensieri e si sentì come un neonato che ha davanti a sé un futuro infinito e pieno zeppo di possibilità.

2.

Lo svegliò da quella specie di sonno beato un flusso fortissimo di pensiero. Era Francesca, che, tornata in quello spogliatoio, si era messa ad aspettare di “risentirlo”.
Dopo l’episodio del giorno prima, non aveva fatto altro che pensarlo. Si era ricordata la dolcezza di quei loro incontri in ospedale ed era stata assalita da una strana forma di struggente nostalgia. Per cui ora sperava, desiderava, “risentirlo”; tanto che, ad un certo punto, pronunciò anche, due volte, il suo nome: « Matteo… Matteo! »
Il signor Carli allora fece arrivare di nuovo la sua energia in quello spogliatoio, sia perché in fondo lo desiderava, sia perché era troppo attirato dal pensiero di lei. E quando Francesca si sentì di nuovo “toccata nell’anima”, provò un’emozione immensa. Gli sembrò di scivolare in un piano inclinato e liscissimo, che la portava in un “chissà dove” del tutto imprevedibile, e si lasciò andare al movimento senza resistenza, come ci si lascia andare sull’otto volante una volta che ci si è buttati. La paura sparì del tutto e lei, sorridendo complicemente, sussurrò ancora con tono dolce: « Matteo…»
Si vestì con decisione, felice di sentire nell’aria quella presenza, e si incamminò verso l’uscita con uno stato d’animo quasi euforico. Era veramente contenta, e quella strana situazione le sembrava un allegro gioco infantile; un gioco misterioso, di cui non si conoscono bene né le regole né gli sviluppi…

Matteo, sentendola perfettamente a suo agio, dopo un po’ la lasciò. Voleva che si sentisse soltanto euforica e serena adesso, senza avere in testa pensieri “pesanti” sulla morte o sull’aldilà, e che spargesse nel mondo quell’euforia in modo frivolo e leggero…
Quella sera poi, in effetti, Francesca fece di tutto: concesse il suo numero di cellulare ad un uomo molto interessante da cui era stata abbordata in metrò; uscì con la sua amica del cuore e nel pub in cui si recarono fece strage di sguardi e di cuori; telefonò alla madre che non sentiva da tempo, riempiendola di amore e affettuosità…e alla fine andò a letto serenissima.
Prima di dormire, pensò un’ultima volta a Matteo, che, a sua volta, le inviò un suo pensiero in cui le esprimeva quanto era stato bello per lui rientrare per un po’ nella vita attraverso di lei.

Il giorno dopo, ispiratissima, si informò sul posto in cui Matteo era stato sepolto e appena uscita dal lavoro comprò delle rose rosa, prese un taxi e si diresse verso quel cimitero.
Quando fu davanti alla sua lapide e vide la foto di lui quarantenne, si rese conto del fatto che – come aveva intuito conoscendolo in età avanzata – Matteo era stato davvero un bellissimo uomo. Allora fu coinvolta ancora di più da quel ricordo e con un gesto quasi meccanico prese un fazzolettino, lucidò il contenitore di quella foto e si fermò per qualche istante a fissarla. Si disse che quando uno muore in fondo è tutto ciò che è stato nelle varie fasi della sua vita: il bambino e l’uomo maturo, il ragazzo e l’anziano malandato. E Matteo ora, nella sua mente, poteva essere anche quel bellissimo quarantenne…
Dopo aver fatto questi strani pensieri, tolse i fiori secchi dal vaso, mise a posto le sue rose e tornò a casa tranquilla, stavolta decisa a riposarsi anche dal pensiero di lui.
Sentiva armonia e pace dentro; qualcosa che non aveva niente a che vedere con le tormentate sensazioni d’amore che aveva provato altre volte nella vita e che, seppure accennatissime, aveva provato anche nei giorni in cui aveva assistito quel signore così interessante.
Sentiva un Eros senza Thanatos insomma, paradossalmente proprio pensando ad un morto, e questo la rese ancora più placida. Smise del tutto di pensare e si abbandonò di colpo a un sonno profondissimo.

3.

L’indomani “chiamò” deliberatamente Matteo, come se ormai sapesse di essere stabilmente in contatto con lui. E quando Matteo prontamente arrivò e lei sentì per la seconda volta dentro di sé quello stato d’animo di pace assoluta, Francesca ebbe la certezza che le sensazioni provate due giorni prima non erano dovute ad una specie di allucinazione.
Cominciò a credere veramente che quella cosa fosse possibile: che pensando ad un morto conosciuto in vita, si potesse entrare in reale contatto con lui.
Per cui cominciò a chiamarlo anche nei giorni successivi, ogni volta che si sentiva depressa o agitata, o anche solo stanca e priva di energia… E lui prontamente arrivava, felice di poter dare serenità ad una persona per cui provava una grande tenerezza…

In uno di quei giorni il signor Carli, captando nel flusso dei pensieri degli “aspettanti”, seppe che, volendo, poteva entrare nei sogni dei vivi. Che poteva comunicare con loro partecipando come personaggio alle loro trame oniriche. E che poteva addirittura idearle, quelle trame, avendo la facoltà di decidere in che modo coinvolgere e influenzare le menti dei sognatori.
Quella scoperta lo entusiasmò. Si rese conto del perché gli antichi erano convinti che i morti (o gli dei) parlassero agli uomini attraverso i sogni. Ebbe chiaro finalmente quello che aveva già sentito dire in una delle risposte alle sue domande fatte appena arrivato nell’al di là: che nei sogni anche i vivi diventano “puro pensiero”, ed entrando nella stessa dimensione in cui si trovano le anime senza più corpo, possono facilmente comunicare con loro.
Affascinato da quella possibilità, decise di entrare in un sogno di Francesca. Voleva farle provare sensazioni di vera felicità ora, e non solo di calma, qualcosa che lasciasse un segno profondo nella sua anima e che la facesse sentire veramente in paradiso. E dopo aver pensato in che modo poteva farlo – quale trama poteva inventare per lei – si preparò a compiere per la prima volta quella insolita e affascinante operazione.
Decise, non a caso, di riagganciarsi alla visita di Francesca sulla sua tomba e di entrare nel sogno con l’immagine di sé quarantenne. Entrò dunque nel suo sogno e le fece vivere una specie di lunga passeggiata che loro due facevano insieme…
Passeggiavano in una zona di montagna, lui la teneva benevolmente e quasi paternamente per mano e lei si sentiva felice standogli accanto, provando emozioni molto simili a quelle che si provano in amore. Ad un certo punto, quando erano arrivati sulla cima di una di quelle montagne, lui le mostrava entusiasta un panorama di immensità e le diceva: « Hai capito allora? Io ti starò vicino così, per tutto il tempo che vorrai… Accarezzerò i tuoi pensieri e ti farò sentire sempre calma e serena come lo sono io in questo momento… E’ questo che nella metafora cristiana si chiama “angelo custode”: l’anima di un morto che avvolge e protegge l’anima di un vivo… Ed io questo sarò per te… »
Poi Francesca sentiva come se lui la spingesse a buttarsi giù dalla cima di quella montagna… « Prova a volare! – le diceva – Vai, vai, non temere, anche questa è solo una metafora, se ti lasci andare puoi volare, varcare il confine tra la vita e la morte…» E mentre diceva quelle strane frasi, continuava a premere un po’ sulla sua schiena, come se volesse forzarla a lanciarsi nel vuoto…
A quel punto, impaurita da quella specie di prova di coraggio a cui lui voleva sottoporla, Francesca provò un batticuore fortissimo, un batticuore talmente forte che la costrinse a svegliarsi.

Restò distesa nel letto per almeno mezzora a riflettere su quello che aveva sognato, e si meravigliò di quanto si era sentita felice mentre lui, tenendola per mano, la guidava su quei sentieri di montagna. Si era sentita esattamente come si sentiva da bambina, quando suo padre giocava con lei e la faceva divertire ed emozionare al riparo da qualsiasi, minimo rischio… Aveva provato quell’emozione priva di tensione che in vita si prova solo a quell’età, quando appunto si è ancora protetti dalla presenza rassicurante dei genitori.
Poi ripensò al finale di quel sogno, alla paura che aveva provato quando lui la spingeva a lanciarsi nel vuoto… Ed ebbe il dubbio che quel “gioco” con Matteo potesse avere anche degli aspetti scabrosi; che quell’incontro così idilliaco potesse essere un modo di iniziarla a strane pratiche spirituali, che l’avrebbero introdotta in una storia pesante, piena di prove di coraggio stressanti e rischiose. Ebbe paura del rischio insomma, e della morte, e ritornò nello stato di diffidenza verso di essa in cui vivono normalmente i vivi.
Allora si riscosse, tornò lucida e razionale, e considerò quegli episodi di contatto con un defunto una momentanea deviazione di follia.

4.

Nei giorni successivi si sforzò in tutti i modi di scacciare dalla mente quella “cosa”, di perdersi completamente nelle incombenze della vita quotidiana e di ritornare “normale”, concreta, tranquillamente agitata, come sempre si sentono i vivi
Per due giorni ci riuscì abbastanza bene, si riadattò con decisione alla sua vita “normale” e si sforzò di sentirsi serena. Ma il terzo giorno cominciò a sentire la mancanza di quella pace. Non sopportava più ormai il sottile, continuo tormento che sta in sottofondo alla vita dei vivi. Dopo aver provato l’ebbrezza e la leggerezza del vivere senza ansia, sentiva tutta l’insopportabilità di quel peso, per cui cominciò a ripensare con forza al “suo” Matteo, cercando di rientrare in contatto con lui.
E Matteo, sentendosi richiamato, decise di entrare di nuovo in uno dei suoi sogni. Gli era piaciuto così tanto quel modo di “visitarla” che ora, come se farlo rappresentasse un modo affascinante di esercitare la propria creatività, desiderava ideare una nuova trama per lei, qualcosa che la coinvolgesse ancor più della prima volta, che la entusiasmasse, che la incantasse…

E questa volta la trama fu questa: lei dormiva seminuda sul letto e mentre dormiva sentiva lui che la accarezzava: piano, con dolcezza e maestria, donandole un piacere immenso e crescente.
Lui non aveva né faccia né corpo stavolta, era come un’entità evanescente. Ma si sentiva, anche fisicamente. Lei si abbandonava del tutto a quelle carezze e alla fine cominciava ad eccitarsi, in modo semplice e naturale, come mai si era eccitata in vita sua…
Fece un sogno erotico, insomma, emozionante e gratificante, e quando si svegliò si sentì impregnata di lui. Si sentì avvolta, inzuppata, risucchiata dalla sua presenza… E si sentì di nuovo felice, come mai si era sentita in vita sua.
Quel pensiero allora la riprese, la ri-invase, tanto che la sera del giorno dopo sentì un impulso fortissimo a tornare sulla tomba del signor Carli, gli portò ancora delle rose, stavolta rosse, si inginocchiò davanti alla sua foto e la baciò.

Da allora Francesca si lasciò andare del tutto a quel pensiero. Quei momenti di vera felicità che stava provando la conquistarono, la travolsero. E quel “rapporto” con Matteo diventò continuo, veramente simile ad un rapporto d’amore: un po’ come quello tra due innamorati; un po’ come quello tra un padre e una figlia; e un po’ come quello tra una madre e un figlio, in quanto lei, verso il “pensiero di Matteo”, provava un sentimento pulito e privo assolutamente di qualsiasi morbosità erotica…
Nel suo “sogno erotico” aveva provato piacere, certo, ma era stata solo una parentesi, una variante. Quello che l’affascinava infatti era la totalità presente in quel “rapporto”, il fatto che con lui viveva tutte le sfumature dell’amore e non solo quelle classiche che si provano nel rapporto di coppia.
Alla fine si sentì infatuata, invasata da quella presenza, e cominciò a non poterne più fare a meno.

Ma mentre per lei quella cosa era tutto, per Matteo era solo una specie di gioco; un gioco sublime, affascinante, ma solo un gioco. La sua vera attenzione infatti era per quello che doveva succedergli lì, nell’aldilà. La fonte massima delle sue emozioni era l’attesa, la curiosità per quello che sarebbe avvenuto quando la sua permanenza nel mondo degli “aspettanti” sarebbe finita.
Aveva sentito voci, nel flusso dell’energia di quel mondo, che parlavano di un nuovo risucchio, improvviso; qualcosa che avrebbe annullato per sempre e del tutto anche quel misero rimasuglio dell’ “io” che è il pensiero individuale. E l’idea di una cosa del genere, di una improvvisa e totale epifania trasfigurante cominciò a coinvolgerlo, a impegnarlo, talmente tanto che il “gioco” con Francesca divenne a poco a poco una cosa secondaria.
Francesca sentiva questo suo distacco, questo suo essere con lei, ma essere anche lontanissimo, irraggiungibile… E se questo da una parte le faceva superare d’un botto la paura della morte – in quanto sentiva che lui stava bene ed aveva una forza smisurata da donare – dall’altra la faceva soffrire, perché sentiva che lui non era coinvolto quanto lei in quel gioco celestiale.
Comunque si accontentava. Era troppo bello quel che lui le dava. E anche se lei non era sempre nei suoi pensieri, restava sicura che Matteo avrebbe continuato ad arrivare, almeno quando lei lo avrebbe “chiamato”.
Passò il periodo più bello della sua vita insomma. Anche perché quel pensiero trasfigurava tutti gli altri suoi pensieri, rendendola totalmente e indubitabilmente felice.

TERZA PARTE

1.

Venne il momento del “grande risucchio” però, anche per Matteo Carli, il momento dell’abbandono totale dell’ “io” e dell’annullamento completo e definitivo nel “Tutto indistinto”. E Matteo non ebbe neanche il tempo di salutare Francesca.
Ad un certo punto lei non lo sentì più e tra loro, per la seconda volta, tutto si interruppe all’improvviso.
Francesca aspettò per alcuni giorni senza drammatizzare, sicura che prima o poi lo avrebbe risentito, Ma quando vide che lui non arrivava proprio più, cominciò ad entrare in crisi profonda.
Cominciò ad implorarlo, allora, a pregarlo, con un’ intensità di pensiero totale. Andò addirittura ancora sulla sua tomba e in lacrime gli chiese di farsi sentire un’altra volta, una sola magari, per toglierle almeno il dubbio che quello che aveva provato in quei mesi era stata soltanto una sua illusione, una sua suggestione.
Ma a lui non arrivava più il suo pensiero. Era sparito ora, annullato nell’estasi divina, impersonificato in un’entità universale che era il “Sacro Corpo di Dio”. Era solo una piccolissima parte di un’entità superiore adesso, e non aveva più nessuna possibilità di distinguersi da essa.
Ora non sentiva più niente: né flussi di pensieri nell’aldilà, né flussi di pensieri dalla vita; e non sentiva più nemmeno i suoi, di pensieri. Ora Matteo Carli non c’era proprio più e lo spazio della sua presenza nell’equilibrio dell’energia universale doveva essere riempito da qualcos’altro.

Ma Francesca soffriva troppo. La perdita dello stato di grazia in cui aveva vissuto durante quei mesi le faceva sentire come sempre più insopportabile il peso del normale stato di continua ansia in cui vivono comunemente i vivi. Le faceva sentire quegli stati d’animo normalissimi come inconcepibili, come indecenti… Per cui la mancanza della “presenza” di Matteo divenne per lei una vera e propria ossessione.
Cercava in tutti i modi di ritrovare, anche da sola, lo stato di pace che quella presenza le aveva procurato. Pensava all’aldilà, cercava di superare la paura della morte come lui le aveva in qualche modo consigliato di fare, ma non ci riusciva mai del tutto. Ogni tanto ripiombava in quel guazzabuglio di pensieri, ansie e paure che caratterizza la vita di tutti i vivi. E allora si metteva di nuovo a pregare Matteo, a fare addirittura delle cerimonie per invocarlo, come se fosse un santo, come se fosse un Dio. E siccome non riusciva più a sentirlo, in nessun modo, cominciò a concepire l’idea folle di uccidersi per cercare di raggiungere la sua anima nell’aldilà.

2.
Dovete sapere che nel mondo del pensiero esiste un equilibrio ecologico simile a quello che esiste nel mondo materiale. Per cui, quando un pensiero diventa ossessivo e crea uno sfalsamento di energia che lo compromette, quel pensiero deve essere in qualche modo bloccato.
Nel momento in cui Francesca arrivò a concepire l’idea di uccidersi per ritrovare Matteo nell’aldilà, quello sfalsamento divenne inaccettabile e, per ricomporre l’equilibrio, fu permessa una delle poche eccezioni possibili alle leggi supreme dell’essere: l’anima di Matteo fu richiamata alla identificazione.
Matteo tornò a “sentirsi”, dunque, tornò a “pensarsi”… Tornò a sentire come entità astratta e lontana quel “Tutto indistinto” di cui era stato per qualche tempo un’infima, infinitesimale particella.
E appena fu tornato un’identità definita, si sentì immediatamente immerso in un nuova dimensione dell’aldilà: il mondo dei “ritornanti”, coloro che vengono chiamati alla reincarnazione dal pensiero insistente di un vivo.
Lì trovò altre anime ri-identificate, che – un po’ intontite da quell’uscita forzata dal “Tutto indistinto” – aspettavano incerte ciò che ora doveva succedere loro. Trovò anche molta agitazione. Sentì di nuovo il peso del pensiero individuale, quella specie di corazza che tiene separata una singola identità dall’insieme dell’energia universale.
E dopo quel tempo indefinito di calma assoluta, stette veramente male. Si ricordò addirittura dell’atmosfera mentale con cui si vive sulla terra, con quel mix continuo di desideri e di insoddisfazioni che fa agitare gli uomini a vuoto. Si chiese allora se non poteva tornare indietro, se non poteva opporsi a quella nuova “chiamata” per riannullarsi tranquillo nella pancia immensa di Dio…

Ma appena fece quel pensiero, sentì che quella non era la verità, capì che ormai gli era proibito esimersi dal ritorno. Francesca lo chiamava troppo, lo desiderava troppo; per rimediare allo sfalsamento di energia che la sua assenza aveva prodotto, era obbligato a tornare al più presto nella vita.
Allora si rassegnò. E quando ebbe accettato il suo nuovo destino, visse con meno angoscia tutta l’agitazione che sentiva lì dentro, nella sua nuova sede. Cominciò ad ambientarsi e sentì nascere dentro di sé un nuovo stato d’animo: da una parte la voglia “terrena” di rincontrare Francesca, dall’altra una stratosferica ed eccitante curiosità:
« Come avveniva il ritorno? Quale corpo avrebbe preso? E in quale periodo sarebbe rinato? Avrebbe rincontrato subito Francesca, magari lui bambino e lei già donna matura, o avrebbe dovuto aspettare anni ed anni, incontrandola magari da vecchia? »
Queste incognite, queste possibilità, erano così stimolanti che procurarono all’anima di Matteo una fortissima euforia. Un’euforia agitata, d’accordo, e non placida e serena come quelle che aveva provato quando era ancora nel mondo degli “aspettanti”, ma un’euforia fortissima, più forte di gran lunga di tutte quelle che aveva provato quando era ancora in vita.
« Allora non sarebbe stato più bello e più puro – si chiese in un ultimo momento di perplessità – rincontrarci nell’aldilà?… Incontrarsi alla pari, solo come anime, con il flusso reciproco di pensieri? »
A quell’ultima domanda però nessuno rispose, per cui lui si mise lì buono, cercando di ritrovare in qualche modo la calma che aveva perduto, ma che gli era rimasta impressa definitivamente nell’anima come stato assoluto di pace; quella che nella metafora cristiana viene appunto chiamata “pace eterna”.

3.

Quando l’anima di Matteo si reincarnò, nel 2017, erano passati solo quattro anni della vita terrestre dalla sua prima morte.
La sua sosta nel mondo dei “ritornanti” era durata un tempo limitato. Dopo che aveva accettato l’idea di “tornare”, tutto era ridiventato temporale per lui, e si ricordava esattamente, come se l’avesse formulata un attimo prima, l’ultima domanda che si era fatto lì dentro ed a cui non era stato risposto: « Perché, se la devo rincontrare, non può succedere qui, nel mondo dei morti? »
Si ricordava esattamente anche tutta la sua vicenda: la vita precedente, la sosta nell’aldilà e quell’ultimo passaggio nel mondo dei “ritornanti”.
Sentiva fisso il ricordo di Francesca dentro di sé, e lo sentiva anche nel sottofondo nascosto della sua nuova mente, quella che si stava a poco a poco formando nel suo nuovo corpo di bambino.
Naturalmente, man mano che diventava un “io” e la mente razionale prendeva il sopravvento sull’anima, quel “nuovo uomo” perdeva di vista il suo passato e alla fine non seppe neanche più di star vivendo una seconda vita.

Crescendo ed iniziando ad usare il raziocinio, capì che era ancora in Italia, ma non più a Milano. Ora abitava in un paesino della Toscana, a pochi chilometri da Firenze.
Si chiamava Leonardo ed era un bambino normale: sano, allegro, molto intelligente. Di diverso dalla norma aveva solo il fatto che sentiva una sottile presenza nella sua coscienza, una sorta di “numero 2”, che ogni tanto si faceva vivo: quando parlava con se stesso, o quando era perso in qualche grande emozione, o quando sognava ad occhi chiusi o ad occhi aperti…
Sentiva un’altra presenza dentro di sé insomma, con cui poteva parlare o con cui doveva trattare quando stava per fare qualcosa che lo attraeva e che non era sicuro fosse bene fare.
Quando crebbe, e lesse, e studiò, pensò che si trattasse di quello che la psicoanalisi chiama inconscio, o di quello che chiama super-io, perché ovviamente non poteva neanche lontanamente immaginare la verità. Ma quella presenza – l’avrete capito – non era altro che il ricordo dell’ “io” di Matteo, dell’ “io” che Leonardo aveva avuto nella vita precedente.
Sono queste le misteriose leggi dell’essere, sapete. E sono così semplici in fondo, che è solo la nostra superbia di uomini razionali e moderni che ci impedisce di intuirle. L’energia circola liberamente, e continuamente, e quell’energia non è altro che Dio, l’insieme infinito di tutte le possibilità.

Diventato adolescente, in Leonardo si formò anche un ideale di donna, quell’ideale che si forma in tutte le menti dei ragazzini quando cominciano ad essere attratti dall’altro sesso. E il suo ideale aveva sembianze molto simili a quelle di Francesca ventiseienne, com’era quando lui l’aveva conosciuta nella vita precedente.
Ma anche questo, certo, lui non lo sapeva, e quando fu giovane cominciò ad avere vari amori con ragazze completamente diverse da lei. Cominciò a conoscere il sesso e la passione, la voglia e il dolore, tutte le cose insomma che sempre son legate all’eros e agli innamoramenti. Non si fermò mai a lungo con una ragazza però, ebbe solo tanti fleurt e mai un grande amore.
Finite le scuole superiori, si trasferì a Milano per iscriversi a medicina. E quando fu al terzo anno, fu inviato a fare tirocinio nel reparto maternità dell’ospedale Niguarda, proprio dove lavorava Francesca, che ormai aveva cinquantadue anni ed era diventata caposala in quel reparto. E fu lì che i due, naturalmente e inevitabilmente, si incontrarono.

Si cari, è così che avviene. Quello che noi chiamiamo destino non ci spinge a caso. Segue un disegno sensato, quasi razionale. Tutto è segnato nella infinita mente di Dio, e noi siamo solo gli inconsapevoli attori dello spettacolo che lui, come un grande regista, inventa e mette in scena senza sosta. Noi siamo gli attori e lui, Dio, è il regista e nello stesso tempo l’unico spettatore.

4.

Nel momento in cui fu presentato a Francesca dal primario, Leonardo sentì come una scossa dentro. La guardò un attimo negli occhi e fu da lei riguardato con intensità. Incrociarono i loro sguardi fulmineamente e sentirono subito entrambi uno strano senso di pace. Soprattutto lei, che ormai, dopo ventisei anni, si ricordava appena, e vagamente, il senso di pace assoluta che aveva provato nei giorni in cui l’anima di Matteo l’aveva “visitata”.
Da quando era nato Leonardo, infatti, Francesca aveva misteriosamente smesso di soffrire. A poco a poco aveva quasi del tutto dimenticato quello strano “incontro”, accettando la sua vita “normale” e rinunciando a pretendere di vivere senza l’ansia e l’agitazione di fondo che caratterizzano
l’esistenza degli uomini.
Non ripensò subito a quell’episodio quindi. Sentì per un attimo quella calma passargli nel cuore e poi si riprese. Lo stesso successe a lui: registrò quella strana sensazione e poi si perse nelle incombenze del tirocinio.
Ma quando il secondo giorno si rincontrarono da soli, la mattina presto, e lei lo accompagnò al letto di una delle pazienti che doveva seguire, cominciarono a parlare un po’ tête à tête. E al suono reciproco delle loro voci, sentirono un nuovo flusso di forte energia che li incantò, e li costrinse a chiedersi insistentemente di cosa si trattava.
Lui pensò per un attimo all’amore, al colpo di fulmine. Guardava quella signora molto più grande di lui, e la vedeva ancora attraente, interessante, sensuale; con in più un’aria da donna vissuta, piena di forza e sicurezza, causate magari da dolori subiti e poi abbondantemente superati.
Era affascinato anche da quella forza dunque, e su quella forza fu spinto ad adagiarsi, sentendosi subito attratto dall’archetipo antico della madre.
Lei, d’altra parte, godette nell’ostentare il mood materno con un novellino tenero e tenebroso come Leonardo, un ragazzo che risvegliava in lei, tra l’altro, tutta la voglia del figlio che non aveva mai avuto.
E così tra loro si creò quello che si chiama un “feeling naturale”, una simpatia non causata da nessuna precisa ragione; quella chimica di corpi e di menti che spinge inesorabilmente due persone l’una verso l’altra.

Combatterono per un po’ quello strano senso di attrazione, frenati sia dai trent’anni che li dividevano, sia dalla correttezza professionale che esigeva da loro un certo distacco. Ma una sera, quando fecero insieme il turno di notte e lei, dopo avergli portato una tazza di thé, si sedette un attimo sul bordo della brandina dove lui riposava, furono immediatamente “flesciati” da un classico deja-vu. Francesca fu colpita più semplicemente da una sorta di ricordo ancestrale, perché la posizione dei loro corpi su quel letto le fece immediatamente venire in mente le situazioni simili vissute con Matteo; e Leonardo fu impressionato dalla misteriosa sicurezza di aver già vissuto quella scena, in un’altra vita.
Dopo cinque minuti che parlavano, si sentirono invasi da un sentimento pesantissimo, che univa in sé emozione, entusiasmo e vera e propria paura. Per cui Francesca dopo un po’ non resisté: si alzò di scatto, gli augurò la buona notte e si allontanò quasi di corsa.
Ma in lei, come in Leonardo, rimase fortissima un’impressione di “destino
che bussa alla porta”.

Faticarono poi per non tornare a cercarsi, e Leonardo, quando restò solo, pensò alla teoria sul colpo di fulmine che una volta aveva sentito esporre in un film.
Diceva che il colpo di fulmine avviene quando si incontrano due persone che si sono già conosciute in una vita precedente. E che non conta il grado di conoscenza raggiunto in quella vita, è l’emozione incontenibile causata dall’idea che si possa vivere più di una vita a provocare l’attrazione tra i due; che “si ritrovano” e che, seppure in modo inconscio, “si riconoscono”.
Quella sera dunque Leonardo ripensò a quella teoria, che ricordava averlo colpito tantissimo ed intuì, per un solo attimo fuggente, l’intera verità di quella storia.
Poi la scacciò, quell’intuizione, perché come tutti noi moderni, entrato nella zona buia del mistero, ebbe paura e non concepì di non essere padrone della propria vita; di essere, almeno in parte, in mano ad una forza superiore.

5.

Da allora comunque fu fuoco che cova sotto la cenere tra loro: ad ogni sguardo, ad ogni parola, ad ogni sfioramento di corpi… Ogni volta che si incrociavano, risorgeva in entrambi la splendida sensazione di attrazione-paura che li aveva assaliti quella sera.
Resistettero ancora però, tennero quella loro affinità in una sorta di stand-by, anche se non poterono fare a meno di gustarsi la calma e l’euforia che ogni volta provavano nel guardarsi, nell’ascoltarsi, nello sfiorarsi… Ci girarono intorno per quasi due mesi insomma, a quell’attrazione, finché un giorno, quando lui le chiese un passaggio per tornare a casa e lei lo accompagnò, successe l’inevitabile.

Una volta arrivati davanti al palazzo dove Leonardo abitava – un palazzo abbastanza isolato in una stradina di periferia – lei fu come travolta da un raptus: si piegò su di lui, gli mise una mano sulla coscia e lo baciò passionalmente.
Poi, dopo essersi persa in quel bacio per tre-quattro minuti, si staccò di colpo e, tornata sulla terra, vergognandosi di aver quasi assalito un ragazzo che poteva essere suo figlio, quasi gli urlò in modo concitato: « Scusa, scusa, non volevo… e’ stato più forte di me… », gli aprì lo sportello e lo spinse a scendere subito.
Lui allora, ancora in trance per quel bacio da cui si era sentito divorato, scese senza dire niente. Salì in casa con sguardo sognante e non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte: dall’agitazione, dall’emozione…e dall’eccitazione.

Il giorno dopo si recò al lavoro con un desiderio intrattenibile di rivederla, e quando fu di nuovo davanti a lei, le mostrò chiaramente, con uno sguardo rapito, la voglia che aveva di essere di nuovo travolto.
Lei era più attraente del solito quella mattina. Aveva i capelli lavati, era vestita in modo carino ed elegante e aveva lo sguardo tirato e sensuale che può avere una diciottenne appena ha scoperto i primi segreti dell’eros.
Quando vide lo sguardo implorante di Leonardo, si sentì attratta dai suoi occhi come da una calamita e disse subito con la voce tremante: « Dopo andiamo a casa mia, vuoi? » « Si – rispose lui – voglio, voglio…»

Al termine del turno uscirono insieme e restarono come impauriti e in silenzio fino a che non furono dentro l’appartamento di Francesca. Lì lei posò la borsa e le chiavi, andò davanti a Leonardo e lo baciò, di nuovo, passionalmente. Poi lo spogliò, con sicurezza e – come si dice – “gli fece l’amore”, senza neanche spogliarsi. Lo baciò e lo accarezzò dappertutto e lui, completamente travolto dalla voglia con cui Francesca “se lo prendeva”, perse la testa e si lasciò travolgere.
Sembrava che lei avesse una vera fame di lui. Che sentisse all’improvviso la possibilità di riempire quel vuoto, quella sottile mancanza che, pur in modo inconscio, aveva sentito dentro per più di vent’anni. E in quel momento, anche se in mezzo a un mare di passione, riprovò lo stesso stato d’animo di calma assoluta che aveva provato nei giorni lontani in cui era stata in contatto con Matteo.
Si persero entrambi in quel momento di amore totale insomma, in cui sentimento ed eros, sesso e tenerezza, vita e morte si mischiavano inestricabilmente. Ed uscirono del tutto dal mondo, addormentandosi poi beati, come se fossero in trance.
Qualcosa finalmente si era compiuto. L’energia universale aveva rimediato ad uno dei suoi sfalsamenti e tutto intorno a loro, in quella camera, emanava gioia, e forza, e perfezione.

6.

Il giorno dopo, però, svegliandosi l’uno accanto all’altra e riprendendo
una normale coscienza, si vergognarono di essere lì insieme, immensamente.
Si sentirono come due peccatori che avevano profanato un’unione sacra. Un senso di colpa gigantesco li assalì e non riuscirono a restare accanto un momento di più. Lui si vestì in fretta, senza dire niente, ed uscì. Lei pure restò in silenzio e quando fu di nuovo sola, rimase come inebetita a riflettere su quello che era successo.

Quando si ritrovarono, in ospedale, sentirono entrambi un enorme imbarazzo, qualcosa di grande impediva loro non solo di guardarsi, ma addirittura di stare vicini.
L’attrazione restava fortissima, ma era appunto talmente forte da metterli in imbarazzo. Era come se, stando vicini, non potessero resistere dallo sfiorarsi, dal toccarsi, dall’abbracciarsi, anche lì, in pieno reparto, davanti a tutte le degenti e a tutto il personale.
Passarono quella giornata sforzandosi in tutti i modi di far finta di niente, di non pensare a quello che era successo e di incrociarsi velocemente solo quando era strettamente necessario. Comunicarono con degli stentatissimi monosillabi, cercando di non restare mai assolutamente da soli. E la sera, quando tornarono a casa, si sentirono finalmente “fuori pericolo”, e quindi un po’ sollevati. Avevano entrambi capito che non era possibile. Che quel primo incontro amoroso doveva restare unico e che la loro storia non poteva essere un amore come tutti gli altri.
Il perché non riuscivano bene a capirlo. Pensarono che fosse il tabù della differenza di età che impediva loro di vivere tranquillamente quella storia. O che forse li aveva inibiti l’intensità emotiva che avevano sentito nascere quando si erano toccati. O che magari c’era qualche altra ragione, imperscrutabile, che a loro non era possibile individuare.

Da quel giorno comunque cominciarono ad evitarsi. Sentivano che se avessero rifatto l’amore, avrebbero di nuovo provato dei sensi di colpa tremendi, e questo dava loro la forza per non pensarsi e per iniziare a scacciarsi l’uno dalla mente dell’altra. Così alla fine, quando il tirocinio di Leonardo fu finito, si persero di vista. Non si scambiarono i numeri di telefono e furono quasi felici di non sapere più niente l’uno dell’altro.

Francesca però, appena sentì di averlo davvero perso, e capì di aver rinunciato deliberatamente a lui resistendo all’attrazione inesorabile che aveva provato, sentì nascere ancora un grande senso di pace dentro di sé.
Risentì ancora stati d’animo simili a quelli che aveva provato quando l’anima di Matteo le era stata vicina, ed intuì pienamente la verità di quell’incontro.
La intuì soltanto, ovviamente, non ebbe mai la sicurezza razionale che le cose stessero veramente in quel modo. Decise di raccontarsi quella verità, insomma, di crederci, anche se non aveva assolutamente nessuna prova.
Quello che la spingeva a crederci era solo la grandissima somiglianza tra gli stati d’animo che aveva provato nell’ “incontro” con l’anima di Matteo e quelli che aveva provato nell’incontro con Leonardo, quando l’aveva amato…e quando l’aveva perduto…
Si accontentò di quella illusione, riuscì ad adagiarsi su di essa e visse tutto il resto della sua vita in totale serenità.
La sola possibilità che potesse essere così, che l’unione e l’amore potessero continuare anche dopo la morte, le dettero davvero un senso di “pace eterna” e la fecero anche riavvicinare alla religione.
Capì infatti, o meglio anche in questo caso intuì, il senso esatto della metafora che la religione rappresenta. Capì che la religione parla con il linguaggio del mito e che con quel linguaggio tenta disperatamente di far capire ai vivi quello che viene raccontato in questa storia: che non c’è un preciso confine tra la vita e la morte; che il gioco dell’essere continua senza sosta in noi: da vivi e da morti, da sani e da malati, quando siamo separati dal Tutto nella nostra “distinzione” individuale e quando siamo riassorbiti in una totalità come piccole, insignificanti particelle…

Con gli anni Francesca si apprestò tranquillamente alla morte, senza quasi più alcuna paura, se non quella che si associa sempre alle grandi, grandi emozioni; quelle emozioni che sono talmente grandi, appunto, da spaventare la nostra povera singola anima.
Quando a 78 anni morì e si trovò nel mondo degli “aspettanti”, pensò di nuovo a Matteo, con forza, e si chiese, sempre con forza, se ora poteva in qualche modo ritrovarlo.
Lanciò quella domanda nel flusso energetico che circola continuamente in quel mondo, ma non ebbe alcuna risposta. Ripeté quella domanda una, due, dieci volte, ma non le fu mai risposto.
Allora ebbe la grande illuminazione: pensò a Leonardo e non a Matteo, e dopo un po’ che si era concentrata sul ricordo di lui, cominciò a sentire qualcuno dei suoi pensieri.
Ogni tanto avvertiva quella scossa, quell’input, che le diceva che lui la pensava ancora. E concentrandosi sui quei pensieri, riuscì alla fine a distinguerne qualcuno:
“ Qui ci vorrebbe un’infermiera come Francesca… Lei aveva quell’esperienza pratica e quella “dignità materna” che sono l’ideale in queste situazioni ”…
“Chissà come sarebbe stato un altro incontro con lei… Forse ancora più bello del primo ”…
“Sarà ancora viva? Mi piacerebbe tanto rincontrarla”…
E così via. Pensieri innocenti, insomma, semplici, ma che le davano l’assoluta certezza che Leonardo la ricordava e che quel loro incontro era stato decisivo anche per lui.

Allora, sapendo che poteva farlo, Francesca fece arrivare la sua energia nello studio del primario del reparto maternità dell’ospedale Baldini di Bologna. E Leonardo si guardò intorno sorpreso, curioso, con un sorriso quasi ironico, quando gli sembrò che qualcuno – o qualcosa – gli “toccasse l’anima”…

P.S. Il racconto è finito, ma la storia tra Francesca e Leonardo-Matteo continua… Sta a voi immaginarvi cosa può succedere ora, e sta a voi decidere quanto è verosimile questa storia o quanto è soltanto una specie di fiaba per adulti…

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